Storia Romana:dei soggiorni romani

 

  

Itinerario: Villa Domiziano (Sabaudia), Villa di Tiberio Museo Nazionale di Archeologia (Sperlonga)

 

La villa di Domiziano

 

In località Palazzo, sulla sponda orientale del lago di Sabaudia, si trova il più grande comprensorio archeologico del Circeo: la Villa di Domiziano (I sec. d.c.). L'estensione notevole del complesso antico, di poco inferiore alla superficie attualmente occupata dall'area di Riserva Naturale, Rovine di Circe, ettari 45,96 circa, nella quale la villa è quasi interamente compresa, ne fanno uno dei complessi più interessanti, nonché uno dei meno noti di tutto il Lazio.

 

Area Archeologica importantissima, è quasi interamente da scoprire e da studiare a motivo soprattutto della vegetazione che ha completamente ricoperto i resti antichi. Il sito della Villa era già occupato in età tardo repubblicana da altri complessi, probabilmente ville costiere, al di sopra dei resti delle quali risultano spesso impostate parti delle strutture degli edifici destinati alla nuova villa.

 

Il progetto generale del complesso domizianeo considerò la trasformazione di tutti quegli ambienti e strutture che si prestavano ad una riutilizzazione in senso monumentale, mentre comportò la demolizione dei manufatti esistenti non più inseribili nell'organico progetto della Villa imperiale.

 

Caratteristica peculiare della Villa di Domiziano è rappresentata dall'insieme notevolissimo delle opere idrauliche e dal sistema delle cisterne di alimentazione. La costruzione dalla villa in una località lontana da sorgenti comportò necessariamente la creazione di tutto un vasto e complesso sistema di approvvigionamento idrico necessario sia per i bisogni giornalieri che per quelli di una lunga stagione secca senza che ne avessero a soffrire tutti gli edifici residenziali e le attrezzature di servizio.

(da Ufficio Naturalistico P.N.C.)

 

nota: da una satira di Giovenale, la III, ai tempi di Domiziano, la Pianura Pontina doveva essere ancora, o nuovamente, allo stato di paludoso: ...armato quotiens tutae custode tenentur et Pomptina palus et Gallinara pinus, ecc...

 

 

Depredazioni e distruzioni

 

Il saccheggio, la devastazione e la distruzione integrale della Villa di Domiziano fu opera del Card. Carlo Collicola tesoriere della S.C.A. a partire dal 1721. Un tesoro di valore inconcolabile rimasto presumibilmente intatto fino ad allora.

 

All'inizio del Settecento veniva praticata ancora la barbara politica dei Barberini, di costruire a spese dei monumenti antichi! Per recuperare materiale da costruzione, necessario per poter portare a termine i moli del canale e altri fabbricati, fu ordinato l'abbattimento sistematico di tutte le murature della Villa di Domiziano che affioravano dal terreno, soprattutto nel braccio della Molella!

 

Un esercito di forzati era addetto ad atterrare pareti e preparare i materiali, mentre una flottiglia di facchini faceva la spola tra il braccio della Molella e Paola per trasportarli sul luogo dei lavori. Perfino i marmi furono asportati dai pavimenti! Questa distruzione sistematica si verificò non solo nella Villa di Domiziano, ma anche nella zona del canale stesso, sul diverticolo della Via Severiana, di cui furono rasi al suolo tutti i sepolcri o quasi, e nelle ville intorno ai Casarini. Gli oggetti più pregiati, invece, furono venduti alle ville nobiliari di Roma e al Vaticano per ricavarne materiale edilizio per le chiese (soprattutto il bronzo).

 

Successivamente altri abusi continuaro a danno della sfortunata Villa:

 

1 - nel 1798, ad opera del Petrini, il quale ordinò una compagna di scavi con lo scopo di saccheggiare opere d'arte a scopo di lucro.

2 - inizio '800, una spedizione inglese trafuga beni, ricavandone molte opere da mettere in vendita.

3 - l'attività scavatoria degli Antonelli, in particolare, di Gregorio, fratello maggiore del segretario di Stato di Pio IX. In una lettera si legge: "... Il Palazzo Antonelli contiene quasi tutti gli oggetti noti, la cui provenienza circeiense può essere ben stabilita. Il padre (appunto Gregorio) del Conte (Agostino) ha sfruttato le immense rovine di Paola e di Palazzo come una miniera d'oggetti d'arte da vendere."

4 - i Sanfeliciani stessi, che ne ricavarono, un tempo, mattoni per le proprie abitazione e per cuocere la pizza di mais.

Il saccheggio fu così sistematico che l'archeologo Giulio Iacopi, nel 1934, trovò ben poco da catalogare.

5 - il degrado e la mancanza di vigilanza attuali.

 

Non bisogna dimenticare l'integramento, da parte della Forestale, di una vasta piantagione di Pini, che hanno soffocato ogni altra specia di arborea, e quel che è peggio, stanno avvolgendo in una morsa letale i ruderi superstiti dell'importantissima villa, sia nel sottosuolo, sia in superficie, con le spire delle loro radici.


 

DOMIZIANO

Domiziano, Tito Flavio

(Roma 51 - 96 d.Cr.)

 

Dopo la morte dell'imperatore Tito, che non aveva avuto figli, gli successe il fratello Domiziano, proclamato imperatore dai pretoriani. Domiziano aveva il carattere militaresco del padre (Vespasiano), ma fu molto più autoritario.

 

Costrinse il senato a nominarlo censore perpetuo, in modo da poter eliminare tutti i senatori, che non gli fossero completamente fedeli; dette sviluppo a una rigida burocrazia, sostituendo spesso impiegati dipendenti direttamente da lui ai magistrati nominati dal senato. Domiziano per primo pretese l'appellativo di signore, e giunse a farsi chiamare anche dio. Perseguitò i filosofi stoici, i quali guidavano l'opposizione delle classi colte e aristocratiche contro l'assolutismo imperiale; restaurò i tradizionali culti romani, vietando i culti orientali e perseguitando gli ebrei ed i cristiani.

 

Importanti imprese militari furono condotte sotto il regno di Domiziano, specialmente sul Danubio e in Britannia. Fu organizzato un poderoso sistema difensivo fra il Reno e il Danubio, il famoso e solidissimo limes. In Britannia fu inviato il generale Agricola, che riportò brillanti vittorie, sottomettendo tutto il territorio dell'odierna Inghilterra.

 

Ma contro la tirannia di Domiziano e contro le gravose imposte da lui ordinate si ordirono congiure. L'imperatore divenne sospettoso, ricorse agli arresti e alle condanne, accrescendo l'odio. Alla fine, nel 96 d.Cr., cadde vittima di una congiura.

 

 

IL CARATTERE

Non era ancora, spirato Tito che il fratello Domiziano correva a farsi proclamare imperatore. Questo fatto e l'odio che il secondogenito di Vespasiano nutriva per il fratello fecero sì che qualche storico attribuisse a Domiziano la causa della morte di Tito. Ma su ciò non esistono prove.

Sebbene precocemente calvo e di vista debole, Domiziano era un bell'uomo, alto come persona e rubicondo di viso, ma pare che non riuscisse simpatico. La sua giovinezza era trascorsa tra le dissolutezze e queste non cessarono. Smoderatamente libidinoso tolse la moglie ad Elio Lamia, disonorò la nipote Giulia, figlia di Tito e fu causa della sua morte; poi tornò a convivere con la moglie Domizia dopo averla prima ripudiata di adulterio.

Più grande della libidine era la sua ambizione: dopo la morte di Vitellio si era fatto salutare Cesare; nel 71 aveva voluto prender parte al trionfo del padre e del fratello seguendoli sopra un cavallo bianco; invidioso della gloria militare di Tito, aveva tentato di acquistarsi fama sollecitando il comando per una spedizione in Oriente, sebbene non fosse pratico di guerre. Smanioso di regnare, aveva dopo la morte del padre, pensato di guadagnarsi l'animo dei soldati con l'offrire il doppio della solita gratificazione.

Tenuto a freno prima da Vespasiano poi da Tito, negli ozi forzati si era dato agli studi, ma non era riuscito che a far pochi e meschini versi. In seguito volle procurarsi fama per mezzo delle cortigiane lodi di poeti e protesse Stazio e Marziale che di lui fecero bugiardi elogi, e volle rendersi benemerito della coltura facendo ricostruire con ingenti spese le biblioteche distrutte dagli incendi, facendo cercare esemplari dei libri in ogni parte e ordinando che fossero copiate in Alessandria le opere perdute.

 

IL GOVERNO E LE OPERE

Al pari di Tito egli cercò di guadagnarsi il favore popolare con elargizioni, banchetti, feste e spettacoli. Per tre volte distribuì trecento sesterzi ad ogni cittadino povero; diede magnifici conviti nelle feste della sua pretura e in quelle celebratesi quando si commemorò l'aggiunta di un settimo monte a Roma; celebrò ogni anno le feste di Minerva, e con grandissima solennità fece celebrare i ludi secolari elevando fino a cento il numero delle corse giornaliere dei cocchi; istituì in onore di Giove Capitolino una gara quinquennale di musica, di corse di cavalli e di esercizi ginnastici; diede naumachie in un lago scavato presso il Tevere e nell'anfiteatro, combattimenti di fanti e cavalieri, giochi gladiatori e cacce notturne al lume delle fiaccole. Ai combattimenti fece partecipare le donne e delle vergini alle corse nello stadio. Per mantenersi fedele l'esercito, Domiziano aumentò la paga dei soldati: i pretoriani ebbero mille denari annui, cinquecento le milizie urbane, trecento i legionari.

 

Senza dubbio mossi dal desiderio di acquistarsi popolarità furono molti provvedimenti di ordine finanziario. Sebbene non fossero molto ricche le casse dello Stato a causa delle spese che Tito aveva dovuto sostenere, Domiziano rifiutò le eredità lasciategli da chi aveva figli, condonò le multe dovute al fisco che erano state elevate da un quinquennio, lasciò agli antichi proprietari, come acquistate per usucapione, quelle terre che erano state invase dopo la distribuzione fatta ai veterani e represse le persecuzioni fiscali; ma più tardi, preoccupato dalle tristissime condizioni dell'erario, si diede a confiscare con ogni pretesto eredità e usò estremo rigore nel percepire le imposte dai Giudei.

 

Verso a Senato Domiziano non seguì la politica del padre e del fratello: l' imperatore prese la censura a vita e la carica di console ordinario che nel '84 si fece dare per la durata di dieci anni. Con ciò egli rafforzava maggiormente il potere imperiale; la diarchia anche nelle forme si avviava verso la monarchia assoluta; difatti a Domiziano veniva dato il titolo di dio e padrone e l'imperatore cominciava ad indossare il manto di porpora.

 

L'impero di Domiziano è notevole per la cura con cui venne amministrata la giustizia e vennero governate le province e per le leggi tendenti a rialzare il sentimento religioso e a frenare il malcostume. Scrive Svetonio:

 

Amministrò la giustizia con zelo e diligenza, tenendo in via straordinaria tribunale anche nel Foro; annullò le sentenze partigiane dei centumviri; ammonì i giudici a non prestar troppa fede alle parole ambigue e insultò quelli corrotti e le loro sentenze. Indusse un tribuno della plebe ad accusare di concussione un sordido edile e a chiedere contro di lui giudici al Senato. E mise tanta cura i nel frenare i magistrati urbani e i governatori delle province che essi non furono mai più né più moderati né più giusti: molti di questi dopo di lui li vedemmo accusati di ogni delitto.

 

Sotto il suo impero, in Italia e nelle province fu ampliata la rete stradale: in Italia fu costruita la via che da Sinuessa conduce a Pozzuoli, in Oriente la Galazia, il Ponto, la Oappadocia, la Pisidia, la Paflagonia e l'Armenia Minore furono allacciate da vie.

Per porre un freno alla corruzione dei costumi proibì la diffusione dei libelli calunniatori e comminò pene per gli autori; radiò dal Senato un ex-questore che soleva fare il mimo e il ballerino; alle meritrici tolse il diritto di andare in lettiga e di ricevere legati o eredità, cancellò dall'albo dei giudici un cavaliere romano che aveva sposata di nuovo la propria moglie già ripudiata per adulterio; rigorosissimamente punì le vestali ree d'incesto, prima con la decapitazione poi facendole seppellire vive secondo l'antica usanza.

Alle sorelle degli Oculati a Varronilla, che avevano commessi incesti, diede facoltà di scegliersi la morte ma quando la prima delle Vestali, Cornelia, che era già stata assolta, fu accusata nuovamente e risultò colpevole, le fece seppellire vive. Severe punizioni furono comminate contro i seduttori: questi prima si ebbero l'esilio poi in pubblico comizio furono battuti a morte con le verghe.

Con un editto proibì che si facessero degli eunuchi e fissò il prezzo di quelli che si trovavano presso i mercanti di schiavi; proibì agli istrioni di calcare le scene concedendo di esercitare la loro arte nelle case private; perché si desse incremento alla coltivazione del grano, che riteva trascurata, vietò di piantare in Italia nuove vigne e ordinò che nelle province si riducessero della metà le piantagioni di viti. Proibì inoltre che le legioni ponessero il campo le une vicino alle altre e che la plebe assistesse agli spettacoli mescolata coi cavalieri.

Perché non fosse impunemente offeso il culto degli dei fece demolire il sepolcro che un suo liberto, servendosi di pietre destinate al tempio di Giove, aveva fatto costruire al figlio e ne fece gettare la salma in mare.

 

Quanto egli avesse cura della religione lo dimostrano i templi da lui fatti costruire: ne vennero per ordine suo innalzati a Iside e a Serapide, quello a Giove Capitolino fu condotto a termine e ornato di colonne di marmo pentelico, nel Campo Marzio fu edificato un tempio a Minerva Calcidica che venne circondato da portici (Foro Palladio) e un tempio fece innalzare alla famiglia Flavia. Per avere aderito al Cristianesimo, come sembra, furono messi a morte Flavio Clemente e il consolare Acilio Glabrione. Scrive Svetonio che Domiziano nella sua giovinezza aborriva talmente l'effusione di sangue che, nell'assenza del padre, ricordando il verso di Virgilio "empia gente, che si nutrì degli uccisi giovenchi" voleva proibire per editto che si immolassero buoi.

Purtroppo egli non perseverò nella clemenza e ben presto diede prova di crudeltà.

Ritornarono in vigore i processi di lesa maestà che Tito aveva abolito. Furono espulsi da

Roma i filosofi, parecchi dei quali ricoprivano i loro sentimenti avversi all' imperatore con le dottrine dello stoicismo: Erennio Senecione fu ucciso perché aveva scritto la vita di Elvidio Prisco e la stessa sorte ebbe Giunio Rustico che aveva fatto l'elogio di Trasea Peto. Messo a morte fu anche il figlio di Elvidio Prisco e perì pure la madre, accusata di aver fornito ad Erennio notizie sulla vita del marito. Fine simile fece Pomponia, moglie di Rustico. Né questi furono i soli delitti di cui Domiziano si macchiò. Perirono Civico Ceriale, proconsole in Asia, e il senatore Salvidieno Orfito, Elio Lamia, Salvio Coneiano, Mezio Pompesiano, Flavio Sabino, Arrecino Clemente, un discepolo del pantomimo Parire, Ermogene da Tarso e parecchi altri.

Pareva che in Domiziano rivivessero Caligola e Nerone. Ma la sua crudeltà doveva avere un termine e dovevano essere i suoi stessi familiari, spinti dall'odio e dal timore, a liberare Roma dal sanguinario tiranno. Prima però di narrare la congiura per la quale Domiziano doveva perire parleremo delle guerre che durante il suo impero furono combattute.

 

LE GUERRE

Le guerre sotto l'impero del fratello di Tito, furono due: una contro i Daci e l'altra contro i Britanni.

 

Guerra Dacica

 

La guerra germanica di cui nell'84 Domiziano celebrò a Roma il trionfo non fu nemmeno combattuta. I Chatti che stavano molestando la frontiera all'avvicinarsi delle legioni romane furono pronti a ritirarsi nei boschi della loro regione.

I Daci erano un popolo bellicoso stanziato alla sinistra del Danubio. Un principe audace e di larghe vedute di nome Decebalo aveva fondato un regno vasto e potente che oltre i Daci comprendeva i vicini popoli dell'ovest. Desideroso di estendere il territorio del suo regno alla destra del Danubio e sicuro che le popolazioni indigene soggette a Roma gli avrebbero agevolata l'impresa, raccolto un tortissimo esercito, passò il fiume ed invase la Mesia. Qui non si trovava che una legione al comando di Cajo Oppio Sabino. Questi non riuscì a opporre una valida resistenza all'invasione; i suoi soldati vennero travolti e lui stesso fu ucciso.

 

Al primo annunzio di questi fatti Domiziano affidò il comando della guerra a Cornelio Fusco, prefetto del pretorio e reputava così grave la situazione che egli stesso volle recarsi sul teatro delle operazioni, guardandosi però bene, dal prendervi parte (85).

I Daci, sperando di attirare i Romani nel proprio territorio, ripassarono il fiume e Domiziano, visto il pericolo allontanarsi, fece ritorno in Italia.

 

L'anno seguente (86) Cornelio Fusco per vendicare la morte di Oppio Sabino e dare un colpo alla potenza dei Daci, passò il Danubio e si inoltrò nel territorio nemico. La sua imprudenza gli costò la vita. Assalito improvvisamente dai Daci, l'esercito romano fu sconfitto e il generale ucciso.

Messo il governo della guerra nelle mani di Giuliano, governatore della Mesia superiore, questi passò audacemente, alla testa delle sue truppe, nella Dacia e, incontrato il nemico presso Sarmizegetusa, gli diede battaglia sconfiggendoli in una battaglia sanguinosa.

Da questa vittoria i Romani avrebbero potuto trarre non pochi vantaggi, ma Domiziano non volle aderire alle richieste di pace di Decebalo e la guerra si riaccese più violenta di prima. Questa volta, oltre i Daci, scesero in campo alcuni popoli Sarmatici tra cui i Iazigi e alcune popolazioni germaniche contro le quali altre volte i Germani avevano avuto da fare, come i Suebi, i Marcomanni e i Quadi.

 

L'irresolutezza di Domiziano, le forze insufficienti mandate a fronteggiare il nemico e la mancanza di un valente generale furono le principali cause dell' infelice esito della guerra. La quale avrebbe potuto risolversi in favore dei Romani se l'imperatore, cui piacevano più le guerre immaginarie che le vere, preoccupato dalle vaste proporzioni ch'essa andava assumendo e prevedendola lunga e dispendiosa, verso la fine dell'89 non avesse deciso di venire ad un accordo con Decebalo. Il re barbaro si impegnava di non molestare la frontiera del Danubio, in compenso Domiziano forniva a Decebalo un certo numero di artieri. Non fu certo un accordo molto onorevole ma neppure vergognoso come certi storici pretendono che se si deve credere a Svetonio -sebbene la notizia non sia confermata- Decebalo accettò la sovranità nominale dell'impero sulla Dacia e mandò a Roma il fratello Diegis per ricevere la corona dalle mani di Domiziano.

 

Guerra Britannica

 

La guerra britannica ebbe risultati migliori della dacica.

Partito Svetonio Paulino, l'isola di Mona (Anglesey) era stata perduta; in una ribellione il governatore Trebellio Massimo era stato costretto a fuggire; Giulio Frontino aveva rialzato il prestigio di Roma sottomettendo i Briganti e i Siluri.

A continuare l'opera di Frontino, Tifo mandò nel 78 il generale Gneo Giulio Agricola, suocero dello storico Tacito che ne scrisse poi la biografia in un'operetta dal titolo De vita et moribus Julii Agricoloe.

Agricola sottomise gli Adovici, rioccupò l'isola di Mona e spinse le sue legioni fino agli estuari di Clota (Clyde) e Bodotria (Forth). L'istmo che divide l'Atlantico dal Mar del Nord fu fortificato perché costituisse una valida barriera contro le incursioni della bellicosa Caledonia. Queste non si fecero aspettare: capitanati da Galeag, intrepido guerriero, i Caledoni scesero dalle loro montagne e in numero di trentamila assalirono i Romani al monte Graupio. Agricola mandò contro di essi solo ottomila ausiliari e tremila cavalieri, ma questi furono tenuti a distanza e tormentati da un efficacissimo lancio di frecce e la vittoria sarebbe stata dei Caledoni se il generale romano non avesse mandato contro di loro cinque coorti e non avesse incoraggiato i suoi scendendo da cavallo.

 

Vano fu il valore dei fieri montanari: respinti, ritornarono alla battaglia tentando di accerchiare i legionari romani; ributtati una seconda volta tornarono ancora all'assalto, ma dopo parecchie ore di combattimento dovettero darsi alla fuga. Ventimila Caledoni rimasero morti sul campo; i superstiti, uccisi i figlioletti e le mogli, si dispersero tra i boschi e sui monti della Scozia che venne poi invasa dai Romani.

Nel frattempo la flotta di Agricola giungeva alla punta settentrionale della Britannia e dava la notizia che questa era un'isola.

Malgrado i successi di Agricola, Domiziano lo richiamò in Italia. Tacito attribuisce il richiamo del suocero alla invidia dell' imperatore, non sappiamo noi con qual fondamento. Si potrebbe però pensare che Domiziano non fosse molto contento dell'opera di Agricola, il quale nei sette anni del suo governo in Britannia aveva vinto, sì, non pochi popoli, ma non aveva saputo portarvi la pace e la civiltà romana, aveva fatto spreco di uomini ed aveva causato gravi spese all'erario.

 

LA MORTE DI DOMIZIANO

Agricola tornò a Roma e si ebbe le insegne trionfali, poi si ritirò a vita privata e di lì a poco cessò di vivere. Non mancò chi della morte sospettò autore l'imperatore medesimo.

Domiziano sapeva di essere odiato. Due congiure erano state scoperte avevano dato luogo a severissime condanne; nel 93 Lucio Antonio Saturnino, governatore della Germania superiore, che si diceva discendente del triumviro Marco Antonio, d'accordo col patriziato romano, ribellò all'imperatore le due legioni di cui aveva il comando e chiamò in suo aiuto i Germani. Ma essendo questi trattenuti sulla destra del Reno dallo sgelo del fiume, L. Appio Massimo, governatore dell'Aquitania, riuscì a piombare sui ribelli e a farne una strage. Lucio Antonio fu ucciso.

 

Dopo questo avvenimento Domiziano era divenuto sospettosissimo. Temendo per la sua vita, aveva raddoppiata la guardia del palazzo, aveva cambiato sovente il prefetto urbano e il capo dei pretoriani e aveva prese infinite altre precauzioni. Ma queste non furono sufficienti a salvarlo dall'odio di coloro che avevano deciso di sopprimerlo per sfuggire alla pena capitale cui Domiziano li riserbava.

Fra costoro la moglie Domizia, i prefetti del pretorio Nerbano e Petronio. Partenio, cameriere dell'imperatore e il suo liberto Massimo, Claudiano aiutante di un tribuno, Saturìo decurione dei camerieri, parecchi gladiatori e il liberto Stefanio procuratore di Domitilla, moglie di Flavio Clemente, la quale, dopo l'uccisione del marito era stata mandata in esilio a Pandataria.

A quest'ultimo fu commesso di uccidere l'imperatore e si fissò la data del 18 settembre del 96.

Venuto il giorno stabilito, Stefanio, il quale per allontanare i sospetto da qualche tempo portava il braccio fasciato, chiese di parlare a Domiziano per informarlo di una cosa gravissima. Il principe lo ammise in una sua stanza, e appena entrato, il liberto gli disse di avere scoperto una congiura e gli porse un foglio dov'era l'elenco dei presunti congiurati. Mentre l'imperatore era intento a leggere la carta, Stefanio tirò fuori dalla fasciatura, in cui lo teneva nascosto, un pugnale e vibrò un colpo al ventre del tiranno, producendogli una lieve ferita. Allora tra l'imperatore e il liberto s'impegnò una violenta colluttazione e questi avrebbe avuto la peggio se al rumore non fossero accorsi altri congiurati, Claudiano, Massimo, Saturio e alcuni gladiatori, che trucidarono Domiziano con Sette colpi.

 

Quando morì, l'imperatore contava quarantaquattro anni ed era nel quindicesimo del suo regno.

La salma fu portata in una bara plebea ed ebbe modestissime esequie in una casa di campagna sulla via Latina appartenente a Fillide nutrice dell' imperatore, che dopo la cremazione del cadavere portò poi di nascosto i resti nel tempio della stirpe dei Flavi unendola alle ceneri di Giuba figlia di Tito.

 

Il popolo alla notizia dell'uccisione, accolse con gioia la morte di Domiziano, un po' meno i pretoriani che dall'imperatore erano stati favoriti. Tumultuando accorsero nel palazzo, e Stefano non riuscì ad evitare di essere fatto a pezzi. Volevano continuare dando la caccia anche agli altri congiurati, non rispettando perfino i loro capi, Norbano e Petronio, che però riuscirono a indurli alla calma, soprattutto quello che -promettendo loro ricchi donativi- poi divenne imperatore:

cioè Cocceio Nerva.